16.12.15

Alle scarpe e alla frivolezza.


Beati coloro che non prendono troppo sul serio né se stessi né il mondo. Che se c'è qualcosa di meraviglioso che Dio- o chi per lui- ci ha lasciato è il dono della leggerezza e della frivolezza.
Di sapersi sollevare quando necessario, e non solo al di sopra di questa pazza folla, ma anche dal livello normale delle cose- per cambiare prospettiva, per cambiare aria, per alleggerirsi. Di ridere quando si deve- senza riserve e a pieni polmoni- buttando dalla finestra quella noiosa maschera seria. Di capire che talvolta un paio di scarpe è solo l'ennesimo paio di scarpe ma che altre invece è qualcosa di più: sono dieci centimetri che ti staccano dal suolo e fanno assumere una posizione diversa rispetto alla vita ed è qualcosa che nessuno ci potrà mai togliere.

La frivolezza. Quella sana e indispensabile dose di finta stupidità che fa sporcare a voi uomini le mani quando si tratta di motori- andiamo, ma sul serio pensate che se ci mettessimo davanti ad una macchina non impareremmo nulla pure noi?- mentre noi ce la ridiamo e ci facciamo scivolare addosso le vostre sciocche battute. La leggerezza di uscire senza calze in pieno dicembre, pensare e sperare con ogni fibra del nostro corpo che il nuovo, totalmente non necessario, paio di scarpe comprato a fine giornata possa risollevarci davvero lo spirito, e talvolta accade sul serio. Perché noi in fondo non abbiamo bisogno di grandi cose per essere felici, a noi bastano quelle piccole, quelle essenziali, quasi del tutto invisibili agli occhi come scrisse qualcuno una volta. Le storie sui diamanti sono tutte cliché.




La leggerezza e la frivolezza che fanno credere anche alla più cinica delle donne che potrebbe esserci un lieto fine da qualche parte, basta cercarlo. La leggerezza e la frivolezza che ci fanno essere buone e credere che siano buoni anche tutti gli altri animi, perché preferiamo sbagliare ma imparare piuttosto che partire prevenute. I giudizi e i pregiudizi sono come pesi inutili che trattengono a terra, e poi allora noi come facciamo a volare?
Lasciare che la luce del giorno scivoli via lentamente dalla stanza e godersi solo quella delle candele in quello stato di pace quasi perfetta che scompare puntualmente il venerdì davanti all'armadio con il grido di "non ho niente da mettere".


(Non è vero, ma non è quella la cosa importante.
E' la contraddizione, è la passione, mantenere la voglia di fare,
giocare, ridere, nonostante tutto e nonostante tutti.
Per questo ci servono le scarpe. Perché è più forte la voglia di salire in alto
piuttosto che quella di rimanere a terra)









12.12.15

Girl Panic!


Duran Duran vs the Supers. Il tutto inizia con Naomi Campbell. Anzi, per la precisione con lo stacco di coscia della Naomi- caro Babbo Natale, ne porti uno anche a me? Va bene anche il prossimo anno eh, non ho fretta- che si sveglia, più bona di me nelle mie migliori serate chiaramente, in una suite di hotel che sulla moquette candida è tappezzata di ragazze un po' provate dai bagordi della notte precedente. Ma chi siamo noi in fondo per giudicare. Il resto è più o meno articolato così.

Pelle. Borchie. Guanti. Anelli. Tacchi vertiginosi che se non rischiamo ad ogni passo la gamba non li vogliamo. Smokey eyes e rossetti rossi. Reggiseni e autoreggenti. Eva- Herzigova- di paillettes rame vestita, scalza sui banks del Tamigi e Cindy Crawford che, a bordo di una Rolls, si sporge dal finestrino scompigliando la sua chioma e il suo pellicciotto turchese per poi tornare a sedersi bevendo champagne in maniera scomposta. Helena Christensen che dorme comodamente- o quasi- sul carrello delle valigie stipato di bauli di Louis Vuitton. E poi ancora tacchi vertiginosi. Ancora champagne. Capelli cotonati, spettinati, stropicciati. Una sveltina in ascensore. Baci con la lingua. Pelle e ancora pelle. Un pizzico di bondage. Pizzo e metallo. Quel tantino di esagerato che non fa mai male a nessuno. Nero, nero, nero e ancora nero che si sa sta bene su tutto e addosso a tutte. Qualche scorcio di Londra che è sempre bella. Paillettes. I pantaloni che in realtà sono un optional a quanto pare. Stivali sopra il ginocchio. Un sacco di lacci. Pellicce. Il reggiseno lo vogliamo solo se sopra non abbiamo niente. Servizio in camera e frange spettinate. Balliamo sul letto mezze nude. Flash. Noi tutte. Il weekend. E un'altra passata di mascara.


(La mia prossima festa la voglio così)


"You beg me to get closer
Dress falling off your shoulder
Then heat is wrapping 'round us
This city strapped around us"












9.12.15

She wore blue velvet.



Velluto. Sontuoso nella sua classicità e semplicità, uno di quei tessuti- modi di vivere quasi- che abbiamo abbandonato. Abbandonato per cosa poi? Il 7% di angora in un maglioncino di Zara? Il poliestere che appiccica e fa sudare e che già a metà serata sarebbe da ributtare nella cesta del bucato? Il cotone sintetico che stringe solo nei punti sbagliati?
Con il velluto invece è tutta un'altra cosa. Ti tiene caldo anche in quelle sere più fredde in cui non ci sono braccia ad avvolgerti. La piacevole sensazione che ti dà al tatto. Quei colori che diventano pura essenza e profondità, come se non esistesse altra tonalità di blu o verde su questo pianeta, come se tu ci potessi davvero entrare in quel nero, e scomparire in un universo parallelo. Quell'innata abilità di passare da giacca da giorno, da indossare per andare in biblioteca, ad abito mozzafiato per una notte di quelle che non si dimenticano facilmente.
La copertura di un divano su cui è rimasto l'odore di fumo per le troppe feste e i baci che invece non sono mai troppi, le passate per togliere quei capelli che cascano sempre sugli occhi, che se sono coperti come fanno a scrutare il mondo? 



Il sapore di antico e dimenticato.
Qualcosa di ritrovato.